A fine 2019, il governo italiano ha approvato un decreto per consentire la sperimentazione su larga scala per la produzione e condivisione di energia da fonti rinnovabili in cosiddette “comunità energetiche” con alcuni vincoli. Austria e Francia hanno introdotto delle norme specifiche già da qualche anno, altri Paesi come la Spagna e il Portogallo sono intervenuti solo recentemente (tra fine 2019 e 2020). La Comunità energetica può considerarsi il primo tassello, l’infrastruttura su cui costruire la smart community, concetto più ampio che coniuga aspetti non solo energetici, ma anche tecnologici e sociali, finalizzati al miglioramento di tutti i servizi al cittadino, quali anche la mobilità.
Cosa è il regime sull’autoconsumo collettivo e sulle comunità energetiche?
Tra la fine del 2019 e i primi mesi del 2020, in Italia è stato finalmente avviato un percorso legislativo e regolatorio volto in pratica a recepire anticipatamente nel sistema energetico nazionale gli istituti e gli schemi relativi alle comunità energetiche (CER) e all’autoconsumo collettivo, ai sensi della Direttiva Rinnovabili – 2018/2001 o Renewable Energy Directive (RED II) dell’Unione Europea.
Il regime introdotto attraverso l’art. 42/bis del Decreto Legge 162/2019 (successivamente recepito dalla legge di conversione n. 8/2020 di fine febbraio 2020) pur con un carattere di transitorietà, ha l’obiettivo di sperimentare nel nostro paese le ricadute e i potenziali elementi critici relativi all’introduzione delle due figure nel sistema elettrico italiano. Grazie a questa legge, infatti, i cittadini potranno diventare prosumer, cioè insieme produttori e consumatori.
Viene, in pratica, lanciato un nuovo modello di produzione e consumo di energia rinnovabile destinato a rivoluzionare le nostre vite: famiglie, piccole e medie imprese, enti locali si uniscono per condividere l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, potendola così autoprodurre, autoconsumare, immagazzinare oppure vendere.
Quali sono i vantaggi delle comunità energetiche?
I vantaggi di queste forme di produzione e consumo sono molteplici. Mettendosi insieme, infatti, è possibile realizzare degli impianti più grandi che, quindi, costano unitariamente meno di quelli ad uso di una singola persona. Ciascuno, poi, può decidere liberamente in quale misura vuole partecipare alle spese e, infine, si utilizza meglio l’energia prodotta perché associando i consumi di più soggetti è più facile che vi sia contemporaneità tra produzione e consumo.
Quello delle comunità energetiche è un processo in grado di innescare un circolo virtuoso di vantaggi e benefici ambientali, sociali ed economici, ma soprattutto serve a ridurre gli impatti e affrontare i rischi del cambiamento climatico e a favorire concretamente la transizione energetica del nostro Paese. Si stima che entro il 2050 circa 264 milioni di cittadini dell’Unione europea si uniranno al mercato dell’energia come prosumer, generando fino al 45% dell’elettricità rinnovabile complessiva del sistema.
Le smart community così create porterebbero vantaggio non solo ai membri coinvolti, ma anche al sistema distributivo elettrico, per il contributo all’innovazione dell’infrastruttura riduzione dei costi di gestione che potrebbe essere compresa tra il 10 e il 30% annui rispetto alle spese sostenute oggi.
Come si esercitano queste forme di autoconsumo collettivo?
Le famiglie e gli altri soggetti che si trovano nello stesso edificio o condominio possono attivare forme di autoconsumo collettivo, mentre persone fisiche, piccole e medie imprese ed enti locali ubicati in un perimetro più ampio rispetto a quello dei condomini possono dar vita alle comunità energetiche.
Rispetto al concetto di prossimità, gli autoconsumatori che agiscono collettivamente devono trovarsi nello stesso edificio, mentre i membri delle comunità energetiche devono trovarsi sulla rete di bassa tensione sottesa alla medesima cabina secondaria.
Per comunità energetiche rinnovabili si intende, nello specific, un soggetto giuridico, autonomo e controllato da azionisti o membri – persone fisiche, piccole o medie imprese, autorità locali (comprese le amministrazioni comunali) – che si uniscono per produrre, autoconsumare e vendere energia prodotta da fonti rinnovabili.
Per poter costituire uno schema di autoconsumo collettivo o una comunità di energia rinnovabile è necessario che gli impianti di produzione siano entrati in esercizio dopo il 1° marzo 2020, che abbiano complessivamente una potenza non superiore ai 200kW e che siano di proprietà di tali comunità. Al momento le comunità energetiche in Italia si possono costituire solo a valle della stessa cabina di trasformazione MT/BT, per impianti singoli con potenza inferiore ai 100kW.
Le due forme di aggregazione possibili per l’autoconsumo collettivo, quindi, sono le comunità energetiche (che seguono uno schema many-to-many) e i gruppi di autoconsumatori che vivono nello stesso edificio o condominio (che seguono invece uno schema one-to-many).
Gruppi di cittadini, condomini dello stesso palazzo, commercianti o piccoli imprenditori dello stesso distretto potranno investire tutti insieme in un impianto fotovoltaico o eolico e dividere tra loro l’energia così prodotta. Energia che potrà essere “autoconsumata”, ma anche immessa nella rete o immagazzinata negli accumuli per essere utilizzata successivamente.
Lo scambio di energia deve avvenire attraverso la rete di distribuzione esistente. In pratica, a queste comunità può partecipare chiunque consumi energia, a prescindere dal fatto che possegga un impianto fotovoltaico, un sistema di accumulo o che sia un semplice sostenitore dell’energia pulita.
Le comunità energetiche usufruiscono di detrazioni fiscali?
Sì, gli interventi di realizzazione degli impianti sono compatibili con le famose detrazioni fiscali del 50% previste per la ristrutturazione edilizia (con un limite di potenza agevolabile che è stato innalzato, solo per queste forme di produzione, da 20 kW a 200 kW) o del 110% previste in caso di accesso al “Superbonus” (in quest’ultimo caso viene riconosciuto, come contributo sull’energia condivisa, solo la quota di ristoro per il mancato uso della rete) ed è anche possibile cumulare le due detrazioni: sui primi 20 kW di impianto si può usufruire del Superbonus e per la quota di potenza rimanente delle detrazioni del 50%.
Le comunità energetiche sono state recentemente incentivate dal DL Rilancio. L’articolo 119, comma 16-bis, prevede che l’esercizio di impianti fino a 200 kW da parte di comunità energetiche rinnovabili (anche costituite in forma di parte di condomìni) non costituisce svolgimento di attività commerciale abituale.
Il Ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli ha firmato un decreto attuativo che fissa gli incentivi riconosciuti per l’energia autoconsumata. L’energia elettrica prodotta da ciascuno degli impianti a fonti rinnovabili ha diritto, per un periodo di 20 anni, ad una tariffa incentivante in forma di tariffa premio pari a:
- a) 100€/MWh nel caso in cui l’impianto di produzione faccia parte di una configurazione di autoconsumo collettivo;
- b) 110€/MWh nel caso in cui l’impianto faccia parte di una comunità energetica rinnovabile.