Con la riforma del gennaio 2017 (delibera 582/2015/R/eel), l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (oggi Arera) ha stabilito una nuova tariffa domestica TD per i servizi di rete, quindi relativi al trasporto e alla distribuzione dell’energia elettrica, spostati sulla parte fissa: ciò che comporta la riforma è quindi che i costi di rete risultano pagati semplicemente per la potenza impegnata e non più in base ai kWh consumati dal cliente. La cosa è più che discutibile, non tanto nell’idea quanto nella sua implementazione pratica, in quanto non è giusto pagare un costo elevato anche per consumi pari a zero.
In pratica, dal 1° marzo 2017 non esistono più le vecchie tariffe D2 e D3, ma si ha un’unica tariffa TD per i servizi di rete: la TD si applica a tutti i clienti domestici, eliminando la distinzione tra clienti residenti e non residenti ed abolendo gli scaglioni di consumo. In precedenza, invece, erano previste tariffe (cioè costi non fissi ma variabili e proporzionali al consumo) regolate dall’Autorità e più alte per le seconde case rispetto a quelle per gli immobili dove l’intestatario della bolletta era residente.
Ricordiamo che le vecchie tariffe elettriche erano distinte in D1, D2 e D3. Ai clienti domestici erano applicate le tariffe D2 (se gli utenti erano residenti e la potenza contrattuale non era superiore a 3 kW) e la tariffa D3 (applicata alle “seconde case” ed a chi aveva un contatore di potenza superiore a 3 kW). Se non si vedeva in bolletta la dicitura D2 o D3, si poteva trovare la voce “utenza domestica residente” per quanto concerne le tariffe elettriche D2, e “Utenza domestica non residente” per le tariffe D3.
La tariffa elettrica “D2” era una tariffa progressiva rispetto ai consumi e non si applicava se si aveva una potenza impegnata superiore a 3 kW (nel qual caso si applicava la tariffa D3). La tariffa D2 comprendeva la componente “servizi di vendita” e la componente “servizi di rete”, alle quali andavano aggiunte le imposte. Nella bolletta, gli importi da pagare per i servizi di vendita erano suddivisi in “quota fissa” (da pagare indipendentemente dai consumi) e in “quota energia” (legata ai consumi).
Gli importi per i servizi di rete, invece, nella bolletta con tariffa D2 erano suddivisi in quota fissa, quota variabile e quota potenza, e andavano a coprire i costi per i servizi di trasporto, distribuzione e misura. La progressività della tariffa D2 rispetto ai consumi (vedi figura) la rendeva poco adatta per le famiglie energivore, come ad esempio quelle che vogliono adottare una pompa di calore, tecnologia che peraltro di solito richiede un contatore da più di 3 kW, che comporta una tariffa D3 in luogo della D2.
La progressività con i consumi della vecchia tariffa D2, che incentivava il risparmio.
La tariffa elettrica per clienti domestici non residenti (quale che sia la potenza impegnata), o “D3”, dal 2009 era strutturata in scaglioni di consumo. Ciò significa che il costo dell’elettricità a kWh si differenziava da scaglione a scaglione e cresceva all’aumentare del consumo annuo da parte del cliente, espresso dal relativo scaglione. In pratica, i costi dell’energia elettrica dipendevano dai propri consumi e dalla propria residenza: chi non era residente pagava molto di più l’energia elettrica.
L’abolizione delle tariffe D2 (residenti) e D3 (non residenti) avvantaggia sicuramente i clienti domestici con alti consumi di energia elettrica: la tariffa D2, infatti, era mirata a penalizzare i consumi eccessivi, cioè coloro che utilizzavano una quantità di energia di molto superiore alle loro necessità. Così facendo però, la tariffa D2 danneggiava le famiglie numerose che avevano consistenti consumi. La vecchia tariffa quindi era vantaggiosa solamente per i single e le famiglie con bassi consumi di energia elettrica.
Le distinzioni fra tariffe D2 e D3 che hanno accompagnato gli italiani in passato cessano dunque di esistere con la tariffa TD, che abolisce ogni criterio di progressività e la distinzione tra residenti/non residenti. La tariffazione è ora lineare e quindi si ha un aumento proporzionale dei costi all’aumentare dei consumi, così da non penalizzare le utenze il cui fabbisogno (e quindi il consumo) è più alto.
Facendo rapidamente due conti specifici, si scopre che le utenze domestiche residenziali la cui potenza impegnata è al di sotto dei 3 kW e che dunque in precedenza utilizzavano la tariffa D2, con il passaggio alla tariffa TD subiscono un aumento standardizzato di 64 € annuali se il loro consumo è inferiore ai 1.800 kWh, che si dimezza se il consumo arriva a 2.700 kWh (che però è il consumo tipico di una famiglia media italiana, secondo i dati Istat!) e si annulla completamente oltre i 3.100 kWh.
Tutte le utenze che superano quella soglia, invece, vedranno annullarsi l’aumento e possono arrivare a ottenere un risparmio in bolletta di circa 80 € se i consumi superano i 4.400 kWh. Lo stesso criterio è valido anche per i non residenti, che con consumi fino a 1.100 kWh non subiscono variazioni ma arrivano a un risparmio di 90 € se i consumi raggiungono i 3.400 kWh. Peccato, però, che tali consumi siano fatti per lo più da famiglie più abbienti, che non necessitavano di tale “elemosina”.
Dunque risulta evidente come la riforma non sia affatto “a costo zero” come ci si sarebbe aspettato quanto meno per ragioni di equità, ma penalizzi con un aggravio di spesa la famiglia media italiana, penalizzi fortemente le piccole famiglie ed i clienti più “risparmiosi” ed incentivi i consumi delle famiglie anziché il loro risparmio energetico. In altre parole, i single e le famiglie più povere andranno a pagare parte della bolletta in passato pagata – giustamente – dalle famiglie che consumavano più energia.
L’idea dietro la riforma è che le soluzioni tecnologiche innovative – quali le pompe di calore elettriche e le auto elettriche – comportano grandi benefici in termini di incremento della sostenibilità ambientale (riduzione dei consumi di energia primaria, riduzione dell’inquinamento, aumento del peso delle fonti rinnovabili, etc.) ma in passato sono risultate economicamente non competitive per via della tariffazione progressiva che produceva incrementi molto rilevanti nella spesa energetica.
In pratica, a fronte di una netta riduzione dei consumi di energia primaria (23-25%) ottenuta con l’uso di queste nuove tecnologie, la tariffazione progressiva che produceva incrementi molto rilevanti nella spesa energetica totale in Euro (34-53%), rendendole palesemente antieconomiche. La soluzione adottata dall’Unione Europea e recepita dall’Italia, tuttavia, penalizza fortemente le famiglie più povere, che non possono certo permettersi le nuove tecnologie e spese più elevate per i loro bassi consumi.
La riforma della tariffa elettrica degli utenti domestici, inoltre, taglia le gambe a fotovoltaico, risparmio elettrico e cogenerazione, rendendo così anche indirettamente più salata la bolletta per gran parte delle famiglie con consumi piccoli e medi. Infatti, spostare i costi verso la parte fissa compromette il mercato del fotovoltaico e delle altre tecnologie per risparmiare o autoprodurre elettricità, disincentivandone l’adozione da parte dei privati, che trovano così assai meno conveniente adottarle.
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