Le cause che influiscono sul prezzo elevato dell’energia elettrica nel nostro Paese sono, come dicevano, numerose. Ora le analizzerò brevemente, sebbene non necessariamente in ordine di importanza. La prima causa è il mix squilibrato e limitato delle fonti energetiche disponibili, poiché in Italia esso è giocoforza limitato per l’assenza del nucleare e, d’altro canto, le fonti fossili (sostanzialmente il gas naturale) sono ancora molto rilevanti nel mix energetico nazionale e contribuiscono oggi alla formazione del prezzo sulla Borsa elettrica nonostante la crescente quota delle rinnovabili.
Inoltre, a causa del riscaldamento globale che ha portato a temperature più alte, vi è stata negli ultimi anni una minore disponibilità della generazione idroelettrica nazionale, sostituita dalla più costosa produzione delle centrali a gas, i cui costi sono molto legati all’andamento del mercato del metano ed a fattori geopolitici. Così l’aumento autunnale dei prezzi all’ingrosso del gas in tutta Europa dovuto alla domanda per il riscaldamento spinge ogni anno a far innalzare stagionalmente i prezzi elettrici. Una tendenza al rialzo su cui si innesta quella a più lungo termine dovuta all’uso crescente del gas per la transizione energetica.
La seconda causa è la dipendenza dall’estero per quanto riguarda le materie prime energetiche: gas naturale, carbone, petrolio, etc. (ricordo che il petrolio viene usato per produrre i carburanti e, soprattutto in passato, veniva usato nella produzione termoelettrica tramite un suo noto distillato, l’olio combustibile). Inoltre, circa il 90% dell’elettricità consumata nel nostro Paese è di produzione nazionale, ma la restante parte arriva dalla Svizzera, dalla Francia e, in misura minore, da Slovenia e Austria. Si noti che, eccetto l’Austria, tutti questi Paesi posseggono centrali nucleari.
La terza causa – ma, come si può vedere dai dati di Eurostat, in realtà fino a qualche anno fa la prima per importanza fra tutte – è rappresentata dal peso elevato delle imposte e degli oneri non recuperabili. Questi ultimi, in particolare, sono una zavorra notevolissima nella nostra bolletta energetica. Si tratta di alcune componenti addizionali previste per legge, il cui gettito è destinato a finalità particolari. Sono i cosiddetti “oneri di sistema”, che incidono per una parte assai rilevante del costo totale lordo di un utente.
Andamento semestrale del peso delle 4 componenti della bolletta elettrica delle piccole imprese italiane nel periodo 2013-2017. Si noti come la componente energia (in colore azzurro) sia inclusa, nelle nuove bollette, nei cosiddetti “servizi di vendita” (in colore viola). La componente A3 è a copertura degli incentivi alle fonti rinnovabili ed a quelle “assimilate”, che sono non rinnovabili e inquinanti. Come si vede, gli “oneri” nel loro complesso (oggi indicati con una marea di nuove sigle per confondere ulteriormente il povero consumatore) pesano sempre più sulla bolletta elettrica delle piccole imprese. (fonte: ENEA)
Essi compaiono sotto varie forme in una bolletta elettrica, essendo composti da: una quota energia (euro/kWh), una quota potenza (euro/kW/anno), ed una quota fissa (euro/anno). La percentuale della spesa per gli oneri di sistema in una bolletta della luce è molto aumentata negli ultimi 15 anni, fino ad arrivare in certi periodi al 25% della spesa totale e ad attestarsi, ad oggi, intorno al 20%.
Gli oneri di sistema sono la somma di numerosi componenti: oneri per il decommissioning delle centrali nucleari; incentivi alle fonti rinnovabili (Conto Energia, “tariffa onnicomprensiva”, etc.); agevolazioni tariffarie per il settore ferroviario; ricerca di sistema; agevolazioni alle industrie energivore; oneri per il bonus elettrico; imprese elettriche minori; promozione dell’efficienza energetica (ad es. attraverso il meccanismo dei Certificati Verdi); enti locali che ospitano impianti nucleari. Insomma, una varietà di voci da retribuire lautamente che ricalca vagamente lo schema delle accise sulla benzina.
La più consistente di queste componenti è quella destinata a promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili e “assimilate”. Oltre agli oneri generati direttamente dagli incentivi statali, questa componente serve a coprire anche i costi di funzionamento del Gestore dei Servizi Energetici (GSE, anche se poi contattarlo per avere delle informazioni è una vera impresa), per la copertura dei costi per i Certificati Verdi, di quelli per le agevolazioni per le connessioni alla reti di distribuzione, etc.
In realtà, però, gran parte di questa componente non è stata usata per compensare i produttori di rinnovabili, bensì per pagare i produttori di energia da fonti “assimilate” non rinnovabili e inquinanti (facendo dunque un grosso favore all’ex monopolista, l’Enel, che come visto in precedenza ha nel suo mix energetico tali fonti): oggi centrali elettriche a ciclo combinato alimentate con il metano o il gas ottenuto dalla gassificazione dei residui di raffineria, termovalorizzatori connessi agli inceneritori di rifiuti, etc. Perciò, l’Italia è stata sottoposta a procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea e condannata, per cui ognuno può oggi chiedere la restituzione di tale somma illecitamente pagata.
Per dare un’idea migliore di questa situazione scandalosa che perpetua un andazzo, in voga in Italia da tempo, di elargire benefici sostanzialmente “ad aziendam”, posso citare una rivista di settore, Quale Energia, che nell’articolo “Tutto per Enel il ‘regalo’ alle centrali a olio combustibile” sintetizza così la sostanza dell’ennesimo “favore” all’epoca concretizzatosi: “Circa 250 milioni di euro prelevati (in modo spalmato) dalle bollette degli italiani per rendere solo disponibili dal 1° gennaio al 31 marzo 2013, e con un preavviso di 48 ore, la produzione di vecchie e inquinanti centrali a olio combustibile, ormai obsolete. Obiettivo ufficiale è ‘fronteggiare un’eventuale emergenza gas’ (come quella verificatasi nell’inverno 2011). Dall’elenco dell’Authority, però, risulta che il ‘monopolista’ di questi impianti è Enel”.
Una vecchia centrale a olio combustibile dell’Enel, usata in emergenza per alleggerire il peso sulle scorte di gas nel periodo invernale. Dal 1° settembre 2017, gli impianti termici civili a olio combustibile sono fuorilegge, perché dannosi per la salute (sebbene lo siano pure quelli a carbone, di cui l’Enel ne possiede ancora diversi), oltre ad avere – in tempi “normali” – un costo di esercizio più alto rispetto al gas naturale.
Ogni eventuale parallelo fra questo regalo fatto alle lobby del petrolio e dell’energia con i più recenti “favori” fatti dal Governo alle lobby farmaceutiche – miliardi e miliardi spesi per i vaccini anti-Covid, indicazione persistente della tachipirina (che guarda caso era già prima il farmaco più venduto in Italia) nelle linee guida nonostante sia ormai noto dalla letteratura che è controindicata per il Covid, pressione per l’acquisto di costosissimi anticorpi monoclonali che poi non sono stati utilizzati, autorizzazione di antivirali dal costo esorbitante quando sarebbero disponibili principi attivi economici che in studi controllati randomizzati hanno funzionato meglio, etc. – è il classico “a pensar male si fa peccato ma…”.
Altre cause che influiscono sull’elevato prezzo dell’elettricità in Italia sono le seguenti: (1) il fatto che alcune aziende elettriche lavorino in modo speculativo su un mercato derivato dell’elettricità; (2) gli sconti in bolletta per l’industria “interrompibile” per la sicurezza del sistema elettrico; (3) la crescita dei costi di produzione delle centrali elettriche che devono marciare anche se inefficienti o vecchie perché ritenute indispensabili per garantire la sicurezza del sistema in determinate aree del Paese.
Inoltre, in Italia abbiamo elettrodotti inefficienti che contribuiscono a rendere l’energia elettrica più cara. I “no” dei comitati Nimby contro la posa di nuove infrastrutture e ricorsi ai TAR paralizzano molti investimenti di Terna sulle linee di alta tensione. Ciò costringe buona parte del sistema elettrico a funzionare con vecchie reti inadeguate, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia. Al tempo stesso, lo sviluppo di reti elettriche più “smart” delle attuali comporterà investimenti e conseguenti oneri tariffari aggiuntivi.
Infine, il mercato libero in questi anni non ha fatto calare le bollette delle famiglie italiane, anzi per queste ha causato esattamente l’effetto opposto; e pure per le industrie italiane la situazione è pessima, visto che nonostante il mercato libero pagano ancora l’elettricità più cara che il resto d’Europa. Anche le piccole imprese italiane hanno, da anni, l’elettricità più cara d’Europa. In particolare, l’Analisi trimestrale del sistema energetico italiano curata periodicamente dall’ENEA illustra bene il differenziale storico del prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica in Italia rispetto ai principali Paesi europei nel periodo 2010-17.
Le piccole imprese italiane (curva tratteggiata) hanno da anni l’elettricità più cara d’Europa. (fonte: ENEA)
Oggi abbiamo tutti gli elementi per poter capire quali sono le cause dell’aumento della bolletta energetica degli italiani e per poter fare delle valutazioni qualitative e (volendo) quantitative. In pratica, le cause possono essere riassunte – essenzialmente – nelle seguenti:
- mix squilibrato delle fonti disponibili (largamente pesato sul gas naturale), aggravato dal riscaldamento globale (minore disponibilità di generazione idroelettrica);
- dipendenza dall’estero per materie prime (gas, petrolio) e, in misura minore, energia elettrica, in conseguenza dei referendum sulle trivelle (2016) e sul nucleare (1987);
- peso elevato delle imposte (sul valore aggiunto, o IVA) e delle accise (imposta erariale di consumo), e molte attività non sanno di aver diritto ad accise del gas ridotte;
- peso assai elevato degli oneri di sistema (dismissione centrali nucleari; incentivi a rinnovabili e “assimilate”; oneri per il bonus elettrico; promozione efficienza energetica, etc.);
- passaggio al mercato libero, per di più reso (senza alcuna ragione valida) obbligatorio, cosa che ha fatto (e farà ancora) aumentare le bollette di famiglie e piccole attività / PMI;
- riforma delle tariffe elettriche per gli utenti domestici, che ha colpito pesantemente le famiglie che consumavano meno (che in genere sono le più povere), sfavorendo le rinnovabili;
- crescente morosità dovuta ai costi sempre più insostenibili, ma che è pagata in bolletta dagli altri utenti, innescando un pericoloso circolo vizioso che impatta su clienti e fornitori;
- il meccanismo di formazione del prezzo sulla Borsa elettrica, che usa la fonte di generazione più cara per determinare il prezzo da applicare a tutti gli altri impianti, rinnovabili comprese;
- costi di produzione delle centrali elettriche che devono marciare anche se inefficienti, vecchie e più inquinanti per garantire la sicurezza del sistema in determinate aree del Paese;
- elettrodotti inefficienti, con i “no” dei comitati Nimby contro la posa di nuove infrastrutture ed i ricorsi ai TAR che rallentano l’installazione di nuove linee.
Si noti che tutte queste cause si possono senz’altro definire strutturali, non congiunturali. Dunque, se si eccettua la variazione stagionale nel corso dei 12 mesi dell’anno e alcune specifiche situazioni contingenti legate alla ripartenza post-pandemia, il trend a lungo termine dei prezzi dell’energia è chiaro e il destino delle nostre bollette future segnato, se non si procede a una revisione globale della politica energetica, dal Piano energetico nazionale alla tariffazione di luce e gas, che con il peso esagerato degli oneri di sistema (per cui la componente energia pesa meno del 50% in bolletta) non incentiva di certo l’adozione di fonti rinnovabili e dunque la tanto sbandierata “transizione energetica”.